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Cancro della Prostata (CaP).
Perché non parlarne?

Quante sono le possibilità di ammalarsi di CaP?
Incidenza. Il cancro della prostata (CaP) sta diventando la più comune neoplasia maligna del sesso maschile nei paesi industrializzati ad elevato sviluppo socio-economico. In Italia vengono diagnosticati ogni anno circa 25.000 nuovi casi di CaP pari al 10% dei tumori maschili con una mortalità specifica di circa 10.000 morti/anno (7% della mortalità globale per tumore negli uomini). Per un italiano il rischio di ammalarsi di tale malattia nell'arco della sua vita è del 2,4%.
Questi dati percentuali sono comunque riferiti a tutte le patologie che possono colpire un uomo
da 0 a 80 anni. Se al contrario si considera che il CaP è pressoché inesistente prima dei 50 anni di età e diventa un problema rilevante dai 55 anni in poi, vediamo che la sua incidenza percentuale a 60 anni è del 10% raggiungendo a 70 anni il 38% !! Queste considerazioni hanno portato l’ex Ministro della Sanità, prof. Veronesi, a inserire questo tumore tra i 4 “big killer” (tumore della mammella, del polmone, del colon e della prostata) su cui concentrare buona parte delle risorse destinate alla prevenzione del piano sanitario nazionale.
 
Esistono delle condizioni che favoriscono l’insorgenza
e lo sviluppo del CaP?

Fattori di Rischio. Sono stati individuati dei fattori di rischio per l’insorgenza e per la crescita
del CaP. La familiarità rappresenta con certezza un importante fattore di rischio per l’insorgenza. L’ambiente, ma soprattutto la dieta, rappresentano degli importanti fattori di stimolo sull’accrescimento del CaP. La comparsa del CaP e la sua evoluzione sono quindi dovute a fattori intrinseci su base genetica in parte stimolati da fattori estrinseci di natura ambientale (dietetica, comportamentale, occupazionale, climatica).
L’ambiente: anche in aree geografiche con le stesse abitudini alimentari, sono state rilevate significative variazioni nell’incidenza del CaP. Di certo l’esposizione alla luce solare sembra avere un ruolo protettivo (incidenza centro-nord italia 64 casi/100.000 abitanti, centro-sud 25 casi/100.000 abitanti). L’incidenza del CaP nelle popolazioni rurali è inferiore a quella di chi vive
in aree urbane.
 
Esiste quindi una familiarità nel CaP?
Familiarità. Attualmente si ritiene che circa il 10% di tutti i casi di CaP abbia una base genetica.
Già nel 1971 Steel e Cannon avevano constatato come il CaP colpisce con maggiore frequenza
i parenti dei malati rispetto alla popolazione generale e come il CaP tende ad aggregarsi nelle famiglie più di altri tumori, concludendo che una storia familiare di CaP aumenta il rischio tumorale nei membri della stessa famiglia. Esiste infatti un’incidenza doppia nei familiari di 1° grado che aumenta da 5 a 11 volte quando questo cancro è presente in 2 o 3 parenti di 1° grado.
La familiarità è ulteriormente evidente nei parenti di 1° grado di soggetti che hanno manifestato
la malattia in età relativamente giovanile.
 
Alimentazione & CaP
Una dieta di tipo orientale-mediterranea, ipocalorica, povera di grassi animali e di lipidi, ricca
di carboidrati, vitamine antiossidanti (A,C,D,E) è considerata un importante protezione
nei confronti del CaP.
 
Quali sono gli alimenti che favoriscono la crescita del CaP?

Apporto calorico & grassi Statisticamente esiste una relazione specifica tra CaP e assunzione calorica. Diversi studi hanno confermato tale relazione considerando l’obesità come un fattore di rischio del CaP. L’indice di massa corporea (BMI) correla il peso all’altezza ed è considerato una misura dell’obesità, si calcola dividendo il peso del soggetto espresso in Kg. per la superficie corporea in mq. Gli uomini con BMI superiore a 26 Kg./mq (considerando normale il valore
di 20-25 Kg./mq) presentano un significativo aumento di incidenza del CaP. (Meyer F. e coll., “Dietary energy and nutrients in relation to preclinical prostate cancer” Nutrition & Cancer 1997;
29; 120-126) Topi nudi sono stati iniettati con cellule tumorali LNCaP, una variante di adenocarcinoma prostatico ormonosensibile che produce antigeni prostato-specifici (PSA)
ed antigeni di membrana prostato-specifici (PSMA). Al momento dell’iniezione i topi avevano un’alimentazione ricca di grassi (35-40% delle Kcal) simile a quella dell’uomo medio negli USA.
Tale dieta continuava sino a quando il tumore non diveniva clinicamente evidente e quindi misurabile. A questo punto i topi venivano divisi in 5 gruppi con apporto dietetico di grassi variabile da 2,3 a 40,5%. I tumori LNCaP crescevano molto più lentamente nei gruppi a basso apporto dietetico di grassi. (Wang e coll. J. Of the National Cancer Institute 1995;87:1456-1462.).
I dati ottenuti dagli animali consigliano una dieta in cui i grassi non rappresentino più del 20% dell’apporto calorico totale. Studi epidemiologici hanno confermato la correlazione tra l’assunzione di grassi animali (in particolare grassi saturi) e l’incidenza del carcinoma prostatico.
Gli acidi grassi si dividono in acidi saturi ed insaturi. Il cibo in genere rappresenta una miscela
di entrambi i tipi di grassi ma alcuni alimenti, come i grassi animali, l’olio di palma e di cocco contengono maggiori concentrazioni di acidi grassi saturi, mentre l’olio di oliva, di arachidi
e di colza sono ricchi di acidi grassi insaturi (monoinsaturi).
Esiste una correlazione tra aumentata incidenza e crescita del CaP e l’assunzione di grassi saturi animali, al contrario la “dieta mediterranea” caratterizzata da una significativa assunzione di lipidi ma in minima parte in forma di grassi animali e dall’uso dell’olio di oliva ad elevato contenuto di grassi monoinsaturi, sembra avere un ruolo protettivo nei confronti del CaP.
Nei paesi in cui si consumano elevate quantità di olio di oliva “pro capite” vi è una più bassa incidenza di diversi tipi di neoplasie, ivi incluse quelle della mammella, della prostata, dell’ovaio e dell’endometrio. (Rose DP e coll. “International comparisons for mortalità rates for cancer of the breast, ovary and colon, and per capita food consumption. Cancer 1986; 58; 2363-2371).
 
Quali sono gli alimenti che inibiscono la crescita del CaP?
Proteine della soia – I fitoestrogeni: la bassa incidenza del CaP nelle popolazioni della costa del Pacifico ha stimolato una ricerca sulle abitudini alimentari ed in particolare circa l’impatto determinato dall’ingestione delle proteine della soia sulla frequenza del CaP. La soia contiene isoflavonoidi e flavonoidi, detti anche fitoestrogeni, perché simili nella struttura agli estrogeni steroidei, in particolare la genisteina e la daidzeina. Studi in vitro hanno dimostrato come, in 200 linee cellulari umane LN-CaP e PC3, la coincubazione con genisteina e dadzeina determinasse un rallentamento proliferativi. I fitoestrogeni determinano un ridotto sviluppo sia della IPB che del CaP. Isoflavonoidi e flavonoidi sono presenti in alta concentrazione anche nei legumi (fagioli, piselli, ceci, lenticchie), nella frutta e negli ortaggi (zucca, carote, cavoli, spinaci, lattuga, asparagi).
I lignani sono invece presenti nei cereali (frumento, mais, grano saraceno, riso, semi di lino
e sesamo), nella frutta e negli ortaggi. Queste sostanze, nell’intestino ed in presenza della normale flora batterica, vengono trasformati ed assorbiti in forma di fitoestrogeni (genisteina, daidzeina, equolo e quercitina) ad alto potere protettivo nei confronti del CaP.
 
Il pomodoro e il licopene: il licopene è un carotenoide ad alto potere antiossidante molto diffuso in natura, il pomodoro ne è particolarmente ricco ma è presente anche nell’anguria, pompelmo ed in alcune verdure. Una dieta ricca di pomodori ha un elevato valore protettivo nei confronti del CaP. La forma aggressiva del CaP è caratterizzata da una minore concentrazione di licopene rispetto a quelle a minor aggressività. La protezione verso il CaP è legata soprattutto alla salsa di pomodoro ed alla pizza. Il licopene presente nel pomodoro crudo non viene ben assorbito dall’intestino umano, al contrario la cottura, soprattutto in olio, lo rende estremamente assorbibile. 
 
Il tÈ, il tÈ verde, le catechine: Nel tè sono presenti parecchie sostanze fra le quali spiccano per importanza i polifenoli e le catechine. Il tè verde è particolarmente ricco di polifenoli, una tazza ne contiene circa 400 mg. di cui la metà è rappresentata da EGCG. L’effetto protettivo dei polifenoli si attua con una forte attività antiossidante e con una diretta inibizione della proliferazione cellulare. Un recente studio giapponese ha identificato in queste sostanze dei potenti inibitori della crescita di tre differenti linee cellulari di CaP. La catechina dotata di maggiore efficacia è la epigallo-catechina-3-gallato EGCG risultata efficace anche sul tumore della mammella. (Nakachi K. E coll., “Epidemiological evidence of prevention of cancer and cardiovascular disease by drinking green tea” Proceedings of the International Conference on Food Factors. Tokyo, Japan, Springer Verlag, 1997, pp 105-108)
 
I Micronutrienti (Vitamine A, C, D, E, minerali calcio, selenio, zinco): oltre alla comune attività antiossidante svolgono un comprovato ruolo specifico nel controllo della crescita
e della differenziazione cellulare.
 
È possibile prevenire il CaP?
Diagnosi Precoce. Non essendo possibile una efficace prevenzione primaria, la prevenzione secondaria e quindi la diagnosi precoce, rimane l’unico mezzo disponibile per influire sulla evoluzione della malattia. Non essendoci una sintomatologia specifica del cancro della prostata,
la diagnosi precoce è affidata a 3 strumenti: l’esplorazione rettale (ER), l’ecografia vescico-prostatica sovrapubica e transrettale (TRUS) ed il dosaggio del PSA.
 
Le modalità con cui si manifesta e si sviluppa il CaP
sono sempre le stesse?

No. Esistono forme asintomatiche, latenti, a scarsa evolutività (il paziente muore per altre malattie), esistono forme sintomatiche, più o meno rapidamente evolutive, maligne, metastatizzanti (il paziente muore per la progressione del tumore), esistono infine forme a comportamento intermedio. La presenza di diverse forme cliniche con diversa sintomatologia e diversa prognosi
è una caratteristica peculiare del CaP che lo differenzia nettamente dai tumori maligni
degli altri organi.
 
Come si determina il grado di aggressività di un CaP?
La ricerca aumenta di giorno in giorno il numero degli strumenti utili a determinare le caratteristiche di aggressività e di estensione del CaP. Elementi fondamentali per poter formulare una corretta prognosi, sia in termini di sopravvivenza che di qualità di vita, sono comunque rappresentati da:

tipizzazione istologica del CaP: esistono vari livelli di gravità nelle lesioni tumorali della prostata. Si inizia dalle lesioni precancerose, quali le varie forme di iperplasia atipica e la neoplasia prostatica intraepiteliale (PIN), fino ad arrivare alle forme conclamate di CaP generalmente nella forma di adenocarcinoma. La determinazione di quanto il tessuto tumorale si differenzia da quello originario sano (grading) è un importantissimo fattore prognostico. Il sistema di grading più diffuso è quello di Gleason che valuta le alterazioni cito-architettoniche del tessuto prostatico (alterazioni della cellula e della struttura ghiandolare prostatica) secondo una scala che va da 2 a 10.

CaP grado 1° Gleason da 2 a 4 bassa malignità - aggressività
CaP grado 2° Gleason da 5 a 7 media malignità - aggressività
CaP grado 3° Gleason da 7 a 10 alta malignità - aggressività

estensione del CaP: lesione unica o multipla. Dimensioni della lesione. Integrità o interessamento della capsula prostatica. Lesione organo-confinata o estesa al di fuori della ghiandola. Quanto più la lesione è di piccole dimensioni e confinata all’interno della ghiandola prostatica, tanto migliore sarà la prognosi.

valore ed andamento del PSA: tanto più i valori di PSA sono bassi e costanti, tanto migliore sarà sia la prognosi che la qualità della vita.
 
Quale è la cura più efficace per il CaP?
Strategia terapeutica. La terapia del cancro della prostata (CaP) è articolata e complessa.
Oggi abbiamo a disposizione molte armi per combatterlo ma ognuna di queste ha delle indicazioni precise, risultando efficace ed utile solo se utilizzata al momento e nel modo giusto.
Non rispettare una corretta e ragionata strategia terapeutica può arrecare solo danni al paziente. Tanto per capirci meglio, andare a caccia è un’attività che utilizza delle armi da fuoco per abbattere la selvaggina ma a nessun cacciatore verrebbe in mente di usare delle cartucce a pallini leggeri per abbattere un cinghiale o al contrario cartucce a pallettoni per colpire un tordo.
 
Come si può evitare di far danni maggiori della stessa malattia? “L’eccesso di terapia”
Da quanto detto emerge chiaramente il concetto di “eccesso di terapia” riferito all’uso indiscriminato degli strumenti terapeutici di cui oggi disponiamo nei confronti del paziente affetto da CaP.
Si deve infatti ragionare non solo sulla malattia, ma anche e soprattutto sull’uomo
che ne è portatore.
 
È possibile tutelare contemporaneamente durata e qualità della vita?
Spettanza & qualità di vita. Rispettare questo obiettivo nello stabilire un piano terapeutico utile
al paziente ci costringe a dare una risposta ad una serie di domande che riguardano sia le caratteristiche del cancro della prostata che le condizioni generali del paziente (età, stato di salute, caratteristiche somatiche, livello culturale, situazione ambientale).
Le più importanti sono:

  • Il CaP è localizzato (organo-confinato) o ha già superato i confini della prostata?
  • Il CaP ha caratteristiche di aggressività estrema o moderata?
  • Qual è la spettanza di vita del paziente?
  • Quali sono le aspettative di qualità di vita del paziente e quante di queste siamo
    in grado di garantirgli?

Piano di terapia & strumenti terapeutici.
Quando usare la terapia medica?

Terapia ormonale: il cancro della prostata è ormono-dipendente. Lo scopo principale della terapia ormonale è pertanto quello di bloccare la produzione e l’azione di stimolo proliferativo delle cellule neoplastiche indotta dagli ormoni sessuali maschili prodotti dai testicoli e dai surreni.
Il “blocco androgenico” (castrazione farmacologia) si ottiene con l’impiego di farmaci che inibiscono la produzione di testosterone da parte dei testicoli (LH RH Agonisti) eventualmente associati a farmaci che antagonizzano l’azione degli ormoni sessuali maschili surrenalici (blocco androgenico totale). La terapia ormonale è una terapia palliativa ha quindi come fine il contenimento della malattia inteso come riduzione della massa tumorale e della sua aggressività biologica. Può essere usata nei soggetti che hanno una spettanza di vita relativamente limitata ed in quelli che non possono essere sottoposti ad intervento. Viene comunemente usata nella preparazione dei pazienti da sottoporre ad intervento chirurgico ed in quelli da sottoporre a radioterapia ed in particolare in quei pazienti affetti da tumore localizzato ma a rischio di estensione extracapsulare.

Quando usare la terapia chirurgica?
Prostatectomia Radicale: è ritenuta oggi il “gold standard” per la terapia del carcinoma prostatico in stadio clinico localizzato, nei pazienti con buona aspettativa di vita.
È un intervento impegnativo che consente di rimuovere in blocco prostata e vescicole seminali.
Fino ad oggi è stato considerato lo strumento più efficace per la cura del CaP localizzato nei pazienti giovani. Le complicanze, sia intraoperatorie che postchirurgiche (impotenza ed incontinenza urinaria) si sono enormemente ridotte con la diffusione della tecnica ma impongono un’accurata selezione dei pazienti. La probabilità di sopravvivenza libera da progressione biochimica di malattia (risalita del PSA) dopo prostatectomia radicale per un CaP localizzato con Gleason >7 (basso grado di aggressività) è a 5 anni = 83-94%, a 10 anni = 53-91%, a 15 anni = 40-57%.
Va quindi sempre specificato che la prostatectomia radicale va proposta esclusivamente a pazienti giovani e con una malattia “organo-confinata” e con un basso grado di aggressività.
Un’accurata stadiazione, l’assoluto rispetto di tali indicazioni ed una perfetta esecuzione dell’intervento non escludono una ripresa di malattia ma ne riducono sensibilmente l’incidenza.
In caso di ripresa della malattia è possibile utilizzare altre linee terapeutiche rappresentate
dalla radio e ormono-terapia.

In cosa consiste la radioterapia?
Radioterapia: utilizzando diverse forme di radiazioni si danneggiano in modo irreversibile le cellule tumorali maligne sino ad ottenerne la necrosi (morte cellulare). Il fattore “dose” in radioterapia ha un ruolo fondamentale nel determinare la probabilità di guarigione del paziente.
Le varie tecniche di radioterapia si differenziano proprio per la dose che consentono di rilasciare a livello prostatico e per il risparmio delle strutture contigue. In caso di CaP organo confinato (tumore intracapsulare) e con un’aspettativa di vita sufficientemente lunga, la radioterapia rappresenta una valida alternativa alla prostatectomia radicale. Una volta effettuato un ciclo di radioterapia non è più possibile effettuare un intervento chirurgico.

Cosa è la radioterapia convenzionale esterna?
Radioterapia Esterna: la radioterapia a fasci esterni consente, mediante radiazioni emesse da una sorgente esterna, di danneggiare in modo irreversibile le cellule tumorali maligne sino a distruggerle. Il piano di trattamento stabilisce la dose totale di radiazioni da utilizzare e le modalità di somministrazione nel tempo. Normalmente vengono effettuate applicazioni giornaliere di 5-10 minuti, per 5 giorni alla settimana, per complessive 6-8 settimane. L’irradiazione degli organi contigui alla prostata determina effetti collaterali, anche gravi, a carico dell’apparato genito-urinario ed intestinale. Impotenza (40-70%), cistiti (10-15%), proctiti (10%), rettorragia persistente e necrosi delle teste femorali (1%). La radioterapia esterna è potenzialmente indicata in tutti gli stadi di malattia del CaP. Nel CaP organo confinato da una sopravvivenza a 10 anni senza progressione biochimica della malattia (elevazione del PSA) pari al 50-60%. Recentemente alla Radioterapia Esterna Convenzionale si sono affiancate due nuove tecniche la Radioterapia Conformazionale Tridimensionale e la Intensity Modulated Radiation Therapy (IMRT) che hanno come obiettivo la somministrazione di dosi di radiazioni molto maggiori con minori effetti collaterali.

Cosa è la brachiterapia?
Brachiterapia: è una variante della radioterapia che utilizza come sorgenti di energia radioattiva (Palladio 103 o Iodio 125) delle piccole capsule dette “semi” delle dimensioni di un chicco di riso che vengono impiantate nella prostata sotto guida ecografica. Si tratta di una procedura mininvasiva che si completa in un’unica seduta della durata di circa 90 minuti e che consente di trattare il tumore con una dose di radiazioni estremamente elevata, senza danneggiare gli organi circostanti. La tecnica venne ideata ed utilizzata sin dagli anni ’20 ma solo dal 1992, grazie a strumenti avanzatissimi (software ed ecografi dedicati, tecniche di confezionamento e di impianto dei semi radioattivi) è diventata realtà la costruzione di una gabbia radioattiva costituita da 100 a 200 semi numerati, ognuno con una sua carica e collocazione specifica, così da sviluppare la più potente carica radioattiva disponibile con il minimo effetto negativo sulle strutture circostanti, con degli effetti collaterali negativi minimi rispetto alle altre tecniche (impotenza 5-10%, incontinenza 1%). Tutto questo è reso possibile dal fatto che le sorgenti lavorano dall’interno
e per contatto contrariamente a quanto avviene con la radioterapia esterna.
Nella malattia organo confinata (CaP intracapsulare) le curve di sopravvivenza a 12 anni, senza progressione biochimica di malattia, danno dei risultati superiori sia rispetto alla prostatectomia radicale che alla radioterapia esterna. I migliori risultati a distanza della brachiterapia sono comunque dovuti alla più accurata selezione dei pazienti, limitando l’arruolamento ai soli soggetti con malattia iniziale e di basso grado. La brachiterapia può quindi essere la terapia di elezione in tutti i pazienti affetti da CaP localizzato con le seguenti caratteristiche: età avanzata, giovani con malattia poco aggressiva, alto rischio anestesiologico/operatorio, rischio di patologie trombo-emboliche o deficit coagulativi ed in particolare nei pazienti che manifestano una forte motivazione al mantenimento della potenza sessuale e della continenza urinaria.

Dott. Giuseppe Montagna
Specialista in Urologia e in Chirurgia Oncologica
Ospedale S. Eugenio, Roma
Clinica Madonna della Fiducia

 
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