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Ipertrofia prostatica benigna (IBP).
Perché non parlarne?

Cosa è la prostata?
È una ghiandola posta, alla base della vescica, intorno all’uretra che circonda come un anello dall’esterno. È simile ad una castagna con la base rivolta verso la vescica ed è formata da
un guscio esterno detto capsula e da una parte interna ghiandolare che è a diretto contatto con l’uretra che, come dicevo ne risulta avvolta dall’esterno. Per comprendere meglio, provate ad immaginarla come un’arancia con la sua buccia (capsula) e polpa (ghiandola) che perforerete
al centro con il vostro dito (uretra) che risulterà a questo punto circondato dall’esterno dal frutto.


A cosa serve la prostata?
Compito della prostata è quello di contribuire alla produzione dello sperma o liquido seminale.
Lo sperma è formato da una componente cellulare (gli spermatozoi) prodotta dai testicoli e da una componente liquida prodotta per la massima parte dalla prostata oltre che dagli epididimi e dalle vescicole seminali. La prostata quindi ha il compito di produrre il liquido che consente agli spermatozoi di essere espulsi all’esterno e successivamente di consentire la loro sopravvivenza
al fine di facilitare fecondazione.
 
Cosa si intende per Ipertrofia Prostatica (IPB)?
Come dicevo il processo di accrescimento della parte interna ghiandolare della prostata viene definito Ipertrofia Prostatica Benigna (IPB) ed ha come effetto la progressiva ostruzione della uretra con conseguente difficoltà al corretto svuotamento della vescica. La componente ghiandolare (interna) della prostata, superati i 40 anni, inizia lentamente ad aumentare di volume schiacciando dall’esterno l’uretra e rendendo quindi sempre più difficoltoso lo svuotamento della vescica.

L’ostruzione da IPB è direttamente proporzionale alle sue dimensioni?
No. Una enorme IPB (prostata aumentata per tre, quattro volte il suo volume di partenza) può essere meno ostruttiva di una piccola IPB. Esistono delle piccole prostate che, in seguito a fatti infettivi ed infiammatori cronici, si sono trasformate in anelli fibrosi privi di qualsiasi elasticità che determinano un notevole restringimento dell’uretra prostatica impedendo quindi lo svuotamento della vescica. Molto frequente è inoltre la cosiddetta sclerosi o scleroipertrofia del collo vescicale, che consiste in un serratissimo restringimento del punto di inserzione dell’uretra nella vescica,
con la conseguente grave ostruzione pur in assenza di un significativo aumento di volume della prostata.
Per concludere l’ostruzione e quindi l’incompleto svuotamento vescicale può essere determinato da:

  • voluminosa IPB
  • piccola IPB con compressione e deviazione dell’uretra
  • sclerosi del collo vescicale

Che tipo di danni provoca l’ostruzione da IPB ?
L’ostruzione determinata dalla IPB costringe la vescica, che è un muscolo chiamato detrusore,
ad un lavoro sempre maggiore che col tempo porta ad un esaurimento della capacità contrattile della vescica. Ora, considerando che la minzione (emissione dell’urina) avviene per la contrazione della vescica con la simultanea apertura dello sfintere vescicale esterno posto immediatamente
al di sotto del segmento uretrale circondato dalla prostata (uretra prostatica), è chiaro che la perdita della capacità contrattile della vescica unita all’ ostruzione dell’uretra prostatica determina lo svuotamento incompleto della vescica con l’atto minzionale e la comparsa del cosiddetto residuo post-minzionale (residuo PM).

A quale età si manifesta l’IPB?
Come dicevamo, la prostata inizia ad aumentare di volume intorno ai 40 anni, ma la vescica mantiene per diversi anni una buona capacità contrattile che gli consente di superare l’iniziale ostruzione uretrale causata dalla IPB, garantendo una minzione efficace (completo svuotamento della vescica). Intorno ai 55-60 anni, l’80% degli uomini inizia a manifestare una minzione inefficace con comparsa di un residuo post-minzionale più o meno importante che col tempo
tende costantemente ad aumentare.

Che tipo di danni provoca lo svuotamento incompleto della vescica?
Lo svuotamento incompleto della vescica determina un ristagno di urine (residuo PM)
che inevitabilmente provoca infezioni urinarie. Tanto maggiore è l’entità del residuo PM, tanto maggiori saranno le infezioni urinarie che ne deriveranno. Un abbondante residuo PM,
unitamente alle conseguenti infezioni, è sicuramente un fattore di rischio per l’insorgenza
di un cancro della vescica.

Il super-lavoro necessario a superare l’ostruzione causata
dalla IPB può danneggiare la vescica?

Si. La vescica è un muscolo generoso con grande capacità di recupero, ma superato un certo limite di impegno iniziano a comparire dei danni che si traducono in una perdita della capacità contrattile (atonia vescicale) che può divenire irreversibile, compromettendo in maniera più o meno grave le possibilità di recupero dopo l’intervento chirurgico. Il superlavoro effettuato dalla vescica si traduce nella ipertrofia del detrusore (muscolo vescicale) La perdita della capacità contrattile della vescica è determinata dalla ipertrofia delle fibre muscolari di cui è formato il detrusore, che si accompagna all’aumento degli spazi tra le stesse. Tali spazi vengono successivamente riempiti da fibre collagene che alterano i normali rapporti tra le fibrocellule muscolari compromettendo i canali che consentono la trasmissione dello stimolo nervoso da una fibrocellula muscolare all’altra. Possono quindi insorgere delle contrazioni non inibite che determinano una “iperattività non coordinata del detrusore” che non consente un valido svuotamento della vescica.


Quali sono i primi sintomi della IPB?
La sintomatologia della IPB è di tipo irritativo ed ostruttivo. Sintomi irritativi sono l’aumento della frequenza minzionale (pollachiuria), la necessità di interrompere il sonno per urinare (nicturia), l’urgenza con cui si manifesta lo stimolo, i bruciori minzionali o comunque la minzione fastidiosa.
Il sintomo ostruttivo più importante è rappresentato dalla progressiva riduzione della portata ed irregolarità del getto minzionale (mitto stentato).

È possibile curare con farmaci l’IPB?
I farmaci attualmente in commercio non possono “guarire” l’IPB ma possono ritardarne la crescita e ridurne i disturbi. La terapia medica lascia comunque il posto a trattamento chirurgico non appena iniziano a comparire un residuo post-minzionale significativo, delle ripetute infezioni urinarie,
una sintomatologia menzionale che incide negativamente sulla qualità della vita. Questi segnali sono l’avvertimento di un danno che può divenire irreversibile.

Quali sono i farmaci usati nella terapia medica della IPB?
I farmaci di uso comune nella terapia della IPB sono essenzialmente riducibili a tre gruppi:

Fitofarmaci: sono di estrazione vegetale, hanno effetti modesti, agiscono solo nelle prime
fasi della IPB, non hanno praticamente alcun tipo di effetto collaterale.

Alfa-litici: sono molto efficaci, soprattutto nelle IPB di modeste dimensioni, riducono sensibilmente la frequenza e l’urgenza minzionale. Sono leggermente ipotensivi.
Oggi vengono considerati come il farmaco di prima scelta nella forma giovanile di IPB.

Finasteride: è l’unico farmaco ad avere un certo effetto di riduzione del volume prostatico. Agisce nelle IPB voluminose e congeste. Riduce la sintesi del PSA (proteina prodotta dalla prostata che tende ad aumentare in caso di tumore) e questo è considerato un effetto negativo.

Quando è necessario intervenire chirurgicamente per evitare
che i danni da IPB diventino irreversibili?

È bene intervenire quando la sintomatologia non è più controllabile con i farmaci di uso comune o comunque quando compare un abbondante residuo post-minzionale con frequenti episodi urosettici e la vescica assume le caratteristiche (ecografiche e/o endoscopiche) della vescica “da sforzo”.
La loro presenza infatti indica l’inizio di un danno irreversibile all’apparato urinario.

Quale tecnica chirurgica scegliere per la IPB
la chirurgia tradizionale o l’endoscopia?

È importante comprendere che la chirurgia nella IPB ha il compito di rimuovere solo l’adenoma, ovvero la parte ghiandolare aumentata di volume, che circonda e comprime l’uretra, lasciando al suo posto la capsula. La capsula, una volta rimosso l’adenoma, diventa l’elemento di unione tra la vescica e l’uretra, una sorta di coppa che non ostacola il passaggio delle urine verso l’esterno.
Si parla quindi di “adenomectomia” (asportazione dell’adenoma) che può essere fatta chirurgicamente (adenomectomia prostatica transvescicale = ATV) o endoscopicamente
(Resezione Transuretrale della Prostata = TURP ).




resezione transuretrale della prostata (TURP)
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IPB con ostruzione uretrale
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  IPB con ostruzione uretrale
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resezione transuretrale della prostata (TURP)
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  TURP risultato disostruttivo
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La scelta di una tecnica piuttosto che un’altra viene fatta in base alle dimensioni della IPB, alle condizioni generali ed alle caratteristiche fisiche del paziente.

Quali sono i vantaggi della chirurgia tradizionale “ATV” nella IPB?
La ATV trova una sua precisa indicazione nelle prostate di grosso volume (oltre 70-80 gr) di soggetti giovani con buona spettanza di vita. L’intervento si effettua in anestesia attraverso una piccola incisione tra ombelico e pube, richiede un allettamento con catetere di circa 5-6 dì ed una convalescenza di 2 settimane.

Quali sono i vantaggi della chirurgia endoscopica “TURP” nella IPB?
La TURP è una tecnica collaudata che viene effettuata con regolarità dagli anni ’60. Trova indicazione assoluta nelle IPB al di sotto dei 70 gr. Si effettua introducendo attraverso l’uretra, in anestesia, uno strumento, chiamato resettore, che, sotto visione diretta, consente la rimozione dell’adenoma a piccole fettine iniziando dalla parte a contatto con l’uretra e proseguendo verso la capsula (porzione periferica). I vantaggi sono evidenti: assenza di incisione chirurgica, allettamento con catetere di 24-48 ore, convalescenza di pochi giorni, minimo sanguinamento. Oggi circa il 90% degli interventi di “adenomectomia prostatica” vengono effettuati endoscopicamente (TURP) rendendo questa tecnica l’intervento di elezione nel trattamento chirurgico della IPB.

Esistono alternative alla TURP ed alla ATV nel trattamento della IPB?
Negli ultimi anni, nel tentativo di rendere sempre meno traumatica la risoluzione della IPB, si sono sperimentate tecniche alternative che comunque, allo stato attuale, rappresentano globalmente meno dell’ 1% della totalità degli interventi eseguiti mediante TURP e ATV.
Tali tecniche sono quindi da considerare sperimentali e prive di tutte quelle garanzie fornite da interventi che vengono effettuati da decenni con un continuo perfezionamento sia della tecnica che dello strumentario, nella misura di centinaia di migliaia di casi/anno.
Le tecniche alternative più importanti sono:

  • Laser-prostatectomia
  • Coagulazione laser per via interstiziale
  • Ipertermia
  • Termoterapia transuretrale
  • Elettrovaporizzazione della prostata
  • Dilatazione transuretrale della prostata con palloncino
Tutte queste tecniche, all’infuori della prima, non consento l’esame istologico del tessuto prostatico asportato, cosa che, al contrario, viene fatta di routine nelle tradizionali tecniche TURP e ATV. L’esecuzione di un accurato esame istologico su frammenti di prostata classificata come benigna ed avviata all’intervento di TURP o ATV, consentono oggi di scoprire un 5% circa di casi di “carcinoma prostatico incidentale”. Cioè di un cancro iniziale, di dimensioni talmente piccole, da non essere evidenziato con i normali metodi di studio della prostata. Scoprirlo occasionalmente (incidentalmente) vuol dire prendere coscienza del problema ed attivare una serie di controlli standardizzati che consente di prevenire e quindi curare, eventuali riprese di malattia. Tale opportunità non è consentita dalle tecniche alternative.

Quali sono le conseguenze dell’intervento di TURP o di ATV?
Premesso che l’intervento viene eseguito quando esistono chiare condizioni di danno all’apparato urinario, l’unica conseguenza della adenomectomia prostatica, sia che venga eseguita la TURP che la ATV, è rappresentata dalla perdita dell’eiaculazione. L’asportazione della ghiandola prostatica, che produce buona parte del liquido seminale e la perdita dello sfintere esterno, con entrambi gli interventi, determinano un’importante diminuzione della quantità dell’eiaculato che non riesce più
a raggiungere l’esterno ritornando in vescica (eiaculazione retrograda).
La capacità erettile e la qualità dell’orgasmo restano invariate.
 
 
Giuseppe Montagna & Stefano Signore
Urologi
Clinica Madonna della Fiducia
Studio
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tel. 06 44232584/3796

 
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